Intuizione al Lavoro

Intuizione e lavoro possono sembrare mondi lontani, ma non è affatto così.

Il mondo del lavoro come lo conoscevamo nell’era industriale si sta evidentemente evolvendo e non segue più le medesime logiche nell’attuale era dell’informazione. Non è più la catena di montaggio a produrre la maggior parte della ricchezza, ma lo stadio precedente alla produzione, cioè quello dell’ideazione, caratterizzato dalla ricerca creativa di unicità.

Le imprese più moderne e illuminate cominciano a privilegiare rapporti umani informali, coltivano l’intelligenza emotiva e spronano i propri manager a riconoscere il valore delle decisioni guidate “dalla pancia”. Mi è persino capitato in prima persona di insegnare meditazione ai dipendenti di una grande organizzazione durante la pausa pranzo e di supportare i decision maker attraverso sessioni individuali, aiutandoli ad accogliere le loro intuizioni.

Anche se servirà tempo per portare la cultura della presenza e dell’intuizione nel mondo del lavoro in generale, si stanno cominciando a muovere i primi passi e la tendenza di lungo periodo è davvero molto interessante. Migliorerà il modo di lavorare e la qualità della vita di tutti!

Molti si rendono già conto che essere lucidi, intuitivi e “saggi” non possa che far bene al mondo del lavoro, che agire a favore della sostenibilità dei sistemi di cui si fa parte (squadra, nazione, universo naturale) non possa che essere un vantaggio competitivo comune, oltre che una necessità etica individuale. Ma il cambiamento in atto è lento e passa per il rinnovo delle generazioni produttive.

Mentre il mondo del lavoro riconosce la necessità di canalizzare intuizioni geniali che rendano unico un prodotto o un servizio, si apre davanti ai nostri occhi un nuovo trend straordinario: il desiderio delle nuove generazioni di trovare nella loro professione – e nel tempo dedicato al lavoro – un significato profondo, quasi spirituale. Non è forse una grande notizia?

Sia i cosiddetti Millennials che la generazione Z (cioè i nati fra il 1980 e il 2010), incarnano una natura ribelle, sovversiva e intrinsecamente legata alla tecnologia. Se questo crea loro grandi difficoltà nei rapporti sociali e un malessere difficile da ignorare, d’altro canto porta al mondo del lavoro il bisogno di fondere la realizzazione personale con quella lavorativa. Dopo che le generazioni del dopoguerra – mi si permetta di generalizzare – hanno per decenni represso le aspirazioni personali e venduto l’anima al diavolo per denaro e sopravvivenza, i giovani produttivi del nuovo millennio stanno ridando anima al lavoro (seppur con non poche difficoltà e conflitti interiori!) e allineando missione e professione.

Non ci si accontenta più di riempire le giornate e portare a casa la pagnotta da dipendenti, si fondano startup innovative con le quali dare un contributo al mondo, si cerca un “significato superiore” nella professione, si cambia ciclicamente lavoro e si coltiva il costante cambiamento finalizzato alla produttività, ma anche all’autorealizzazione! Insomma, si vive il lavoro con meno alienazione e più spirito, con più creatività, coraggio e intuito.